venerdì 30 marzo 2012

IN COENA DOMINI - Giovedì Santo


Accogliamo adesso l’invito porto dai versi di un poeta poco noto, che sembrano ben esprimere quanto il giovedì santo contiene in sé. Si tratta di Georg Trackl, poeta austriaco morto ventisettenne nel 1914 per overdose di cocaina, quando gli orrori della Prima Guerra mondiale gli si rivelarono come l’apice della sua veggente disperazione. Scrive tre quartine, in apparenza molto tradizionali, in realtà carichi di una straordinaria luce ed energia. Ecco la prima:

         Quando la neve cade alla finestra
         A lungo suona la campana della sera,
         Per molti la tavola è preparata,
         E la casa è tutta in ordine.

Sembrerebbe un atmosfera crepuscolare, tipica di un animo che protende l’orecchio al proprio tempo scorgendone tutta la decadenza. E del crepuscolo, coglie elementi molto essenziali: la neve che cade, una indefinita finestra, una campana, e poi l’intimità di una casa al cui interno un tavola è preparata. Colpisce quel “per molti”, come a voler evidenziare un unico destino che accomuna gli uomini. Inoltre si coglie un’assenza. Per molti è preparata, ma non si vede nessuno. Riprende:

         Più d’uno nel suo peregrinare
         Giunge alla porta per sentieri oscuri.

Ecco giungere qualcuno. Che strano, però: prima descrive l’interno di una casa, ora passa all’esterno, da cui giunge “più d’uno”. Da molti, il numero si stringe a pochi. Non solo: scopriamo un pellegrinaggio che accomuna questi uomini che giungono alla porta della casa per sentieri oscuri. La certezza che in un primo momento dava la tavola preparata e la casa ben ordinata comincia ora a sgretolarsi. Chi giunge in questa casa è in realtà pellegrino e per di più vi arriva attraverso sentieri oscuri. Come è possibile tornare nella propria casa per sentieri oscuri? Ciò induce a pensare che probabilmente non si tratti neppure più di una semplice casa domestica. Ce ne dà conferma quel giungere alla porta. Il poeta sta sicuramente ricorrendo a particolari significati simbolici. Seguiamolo in questo suo intento:

         Aureo fiorisce l’albero della Grazia
         Dal fresco succo della terra.

Eccolo! Un elemento ancestrale, mitologico e, per ebrei e cristiani, pienamente sacro: l’albero della Grazia, della Vita. Il poeta scorge un elemento soprannaturale, che sembra proprio vedere all’interno di questa sua descrizione via via ascendente verso significati sempre più alti. Addirittura quest’albero reca fiori d’oro in cima, linfa fresca alle radici nascoste nel buio della terra. In realtà, allora, non è un elemento prettamente spirituale, ma misteriosamente unito alla dimensione terrena, la più oscura, eppur feconda nel suo fresco e succoso grembo. Ultima quartina:

         Viandante entra silenzioso:
         Dolore impietrì la soglia.

E qui entriamo nel cuore del mistero! Il mistero della vita del viandante, giunto per sentieri oscuri alla porta della casa che sembrerebbe essere il porto definitivo dove armeggiare la barca dell’esistenza. Ma il tono è molto tragico. Parla di “viandante”: perché non usa l’articolo? Forse allude all’uomo contemporaneo privo di una precisa identità? Parla di “dolore”: anche qui, che voglia alludere all’anonimato in cui tanto dolore oggi rimane imprigionato senza voce?
Quel che è stupefacente è quanto accade: il viandante entra silenzioso e la soglia diviene pietra a causa del dolore. In questa esperienza, che sembra farsi interiore al sommo grado, troviamo il silenzio, il miglior compagno per entrare in una comunicazione autentica con il nostro vero essere. Essere che conosce il dolore, al punto da trasformare in pietra la soglia. Com’era prima la soglia se adesso è pietra? E perché si è trasformata? Leggiamo gli ultimi due versi di questa quartina finale:

         Là risplende in puro chiarore
         Sulla tavola pane e vino.

Le domande aperte in precedenza sembrano finalmente trovare una risposta, ma non è semplice comprendere i simboli che il poeta offre ai nostri occhi. Diciamo qui “occhi”, perché la scelta dell’autore è chiaramente pittorica: descrive fondamentalmente per immagini, oltre che per suoni. Torniamo ai simboli:

         Sulla tavola pane e vino.

Ma non sono proprio gli elementi dell’Ultima cena del Signore? E cosa ci fanno qui, in questa misteriosa casa, divenuta via via più interiore e adesso, tutta d’un tratto, universale? Che sia una chiesa, dato che si parlava di una soglia impietrita? Eppure prima non era di pietra…e allora?
Questi paradossi sono l’essenza stessa della poesia, che vuole schiudere più che definire, allargare, più che rispondere. Ed è per questo che vogliamo soltanto tentare un’interpretazione, sapendo che non è l’ultima, né la migliore, né la definitiva. E ci serviamo di quella che è stata la prima stesura della poesia, di un retroscena quindi, che ci aiuterà a fare chiarezza sull’enigma, nel quale ci ha introdotti magistralmente il poeta:

         Quando la neve cade alla finestra
         A lungo suona la campana della sera,
         Per molti la tavola è preparata,
         E la casa è tutta in ordine.

         Più d’uno nel suo peregrinare
         Giunge alla porta per sentieri oscuri.
         La sua ferita piena di grazie
         Lenisce la dolce forza dell’amore.

         Oh, nuda sofferenza dell’uomo!
         Colui che, muto, ha lottato con gli angeli.
         Domato dal sacro dolore, tende silenziosamente la mano
         Verso il pane e il vino del Signore.

Dopo aver descritto quel “più d’uno” che giungeva alla porta per sentieri oscuri, ecco ora scoprire dietro il vagabondare una ferita aperta, in attesa. Si trattava allora di un movimento dell’anima, dello strazio di chi attende nel profondo una redenzione. Nella sua straordinaria sensibilità da veggente, il poeta scorge una pienezza di grazie nella stessa ferita, come avendone già riconosciuto il significato e il valore. Una ferita non più solitaria, perché lenita dalla dolce forza dell’amore. Proprio l’amore è stato capace di abbracciare la nuda sofferenza umana; di premiare l’estenuante lotta contro gli angeli. Muta perché con ogni probabilità solitaria e notturna, dove solitudine e notte devono intendersi anche come metafore del tempo che ognuno vive. Dice:

         Domato dal sacro dolore

L’uomo, in perenne lotta contro se stesso, trova riposo nel sacro dolore, addirittura venendone domato. Il dolore, “sacro” perché forse condiviso da Dio che solo può renderlo tale, doma l’inquieto cuore dell’uomo, perché sa come la sua cattiva inclinazione continuamente lo allontanerebbe da questo porto sospirato. Resta ora da capire la sorgente di questo amore, che è tale da rendere sacro persino il dolore:

         tende silenziosamente la mano
         Verso il pane e il vino del Signore.

Qui rimane spazio solo per lo stupore, dinanzi a questo tendersi estremo, quasi disperato, dell’anima, attraverso la sua parte corporea simboleggiata dalla mano, quindi in unità di anima e corpo,

         Verso il pane e il vino del Signore.

Soltanto adesso diviene comprensibile il perché la soglia impietrì al passaggio del viandante, anzi, a causa del suo dolore. Quello a cui ci ha fatto assistere il poeta è in realtà una liturgia, nella quale la vita diventa un tutt’uno con il mistero celebrato. E allora, quel pane e quel vino del Signore non stanno altro che sull’altare del sacrificio, un altare di pietra. Nel varcare la soglia di questo mistero di comunione con Colui che ha voluto assumere la nostra carne, la nostra sofferenza, non si può restarne estranei: ci si trasforma, bensì, nello stesso altare che si contempla e adora.
Casa, cuore e chiesa trasfondono adesso nel Corpo e nel Sangue del Signore,

         silenziosamente.

Quel pane e quel vino, che sono il segno di un’integrale offerta, misteriosamente s’incontrano unificandosi con l’integrale offerta di dolore del viandante, ovvero di ognuno di noi.

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