Al termine di questo percorso,
compiuto in compagnia di numerosi poeti e soprattutto delle loro più recondite
ricerche ed aspirazioni, che certamente ci hanno arricchiti di un’esperienza
umana trasfigurata dalla Luce, vogliamo riportare e commentare la poesia di uno
dei maggiori poeti italiani del Novecento, del quale si stanno finalmente in
questi ultimi anni moltiplicando gli studi, e verso il quale invitiamo i
lettori a portare parecchia attenzione. Si tratta di Clemente Rebora, il cui
itinerario di vita esprime ancor più chiaramente ciò che attraverso i versi ha
inteso esprimere e rivelare:
Mentre il
creato ascende in Cristo al Padre,
nell’arcana
sorte
tutto è doglia
del parto:
quanto morir
perché la vita nasca!
Pur da una
Madre sola, che è divina,
alla luce si
vien felicemente:
vita che
l’amor produce in pianto,
e, se anela,
quaggiù è poesia;
ma santità
soltanto compie il canto.
(CLEMENTE REBORA, Poesia
e santità, da Poesie (1913-1957))
Prima chiara consapevolezza: il
creato non segue una linea cieca o casuale, né un cammino di progressivo
deterioramento, bensì un’ascesi in Cristo
al Padre. Ora, come spiegare ad occhi poco avvezzi alla contemplazione il
senso di un’ascesi che coinvolge il creato intero? Significherebbe ammettere
che segue un disegno provvidenziale, che è stato già pensato da un Altro, che
non è in nostro dominio, ma che è indissolubilmente legato a noi umani secondo
un’arcana sorte. Ciò contrasta molto con una certa mentalità diffusa oggi. Poi
tutto è doglia
del parto:
quanto morir
perché la vita nasca!
Torniamo nuovamente a quel
realismo che abbiamo avuto modo di scoprire in altri autori. Lo ribadiamo: per
vivere in pienezza, si deve accogliere l’aspetto più tragico della vita stessa,
quel lento morire che portiamo addosso e dal quale tentiamo in ogni modo
fuggire. Eppure, si tratta di un moto finalizzato ad una vita più grande: tutto è doglia del parto, cioè, quanto morir perché la vita nasca! Non è
mai un soffrire vano, mai un’attesa senza approdo: tende l’esistenza ad un
compimento per giungere al quale occorre però morire. È una legge ineludibile
ed alla quale dobbiamo necessariamente adeguarci, pena una morte prematura e
certamente più sofferta… E per morire, non abbiamo altro da fare che stringerci
a Cristo, perché solo in Lui ascendiamo al Padre. Soltanto nell’accoglienza di
quella forza e di quell’amore che si sprigionano dal suo volontario soffrire
per noi, ritroviamo il senso delle cose che appaiono cadere, perire, sparire,
come anche la risposta ai dolori più inspiegabili, sordi, solitari. Nella sua
obbedienza alla volontà del Padre, occorre unire la nostra, nel coraggio di
saperci figli amati da Dio:
vita che
l’amor produce in pianto,
e, se anela,
quaggiù è poesia;
ma santità
soltanto compie il canto.
I poeti ci hanno mostrato come è
possibile trasformare il pianto amoroso della vita in anelito poetico, eppure
questo non basta, è soltanto una tappa. Ci hanno, in realtà, indicato come il
canto della vita si compie pienamente soltanto con e nell’amore del Signore.
Buona Pasqua a tutti!
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